Riportato alla luce antico sito minerario

18/08/2007
LA MINIERA DIMENTICATA
METTI UNA CHIACCHIERATA fra amici in una calda e quieta notte d’estate. Metti che uno dei tre proponga per scherzo di trascorrere le vacanze sulle montagne che sovrastano il paese. E metti che un altro, attingendo ad un sapere tramandato di generazione in generazione e quasi sospeso tra storia e mito, suggerisca come meta le dismesse miniere di carbone, le quali sopravvivono ancora nel ricordo di qualche anziano del luogo, ma che nessuno è più andato a cercare, lasciando che il trascorrere del tempo disegnasse un alone misterioso attorno ai vecchi impianti, offuscandoli alla vista dei passanti e della memoria. Quella che voleva essere una battuta scherzosa, detta con noncuranza in una sera dei principi d’agosto, ha innescato però in Eugenio Carpino, Carla Lupia, Demis Gabriele e Giovanni Benincasa un meccanismo che da sempre ha accompagnato l’uomo, sin dall’inizio della sua storia. Carezzati dal fremito e dal fervore che ha guidato gli esploratori e i pionieri di ogni tempo e di ogni dove, hanno deciso di verificare i fatti che ormai si tingevano di un’aurea di leggenda. Mercoledì 8 agosto, hanno scalato così la via che da Santo Stefano porta a località Foresta, costellata da un gruppetto di case dove vivono pochissime famiglie. Da lì, riportando alla luce, falce in mano, antichi sentieri sterrati, sono giunti in zona Carcarula dove, scavando tra i rovi e i cumuli di terriccio ammassati dal tempo, hanno effettivamente scorto tre ingressi che dal piccolo spiazzo antistante si inoltravano nel cuore della montagna. Un po’ di luce e un altro po’ di lavoro di disboscamento e agli scopritori, stupefatti ed emozionati, si è mostrata la prima galleria, poco praticabile a causa del fondo invaso d’acqua, preservata intatta, dal tempo e dallo scudo della natura, a pochi chilometri dal centro abitato. A qualche metro da questa altri due ingressi nascondevano altrettanti tunnel carboniferi, ben conservati, che si insinuavano nei meandri della terra. Alla scoperta sono seguiti i contatti con gli esperti, i lavori di spianamento della strada attraverso mezzi meccanici ed una escursione organizzata dall’ A.C.L.I., l’associazione cittadina presieduta da Carla Lupia, che ha attirato sui monti alcune centinaia di residenti, oltre al proprietario del terreno sul quale sorgono le miniere, il mangonese Michele Venneri, accompagnato da figli e nipoti. Attraverso i ricordi del proprietario e quelli della ultranovantenne signora Maria Mauro, anch’essa di Mangone, è stata sommariamente ricostruita la storia degli impianti di estrazione. Le miniere, infatti, sorgono su un terreno che, sebbene di proprietà dei Venneri sin dal 1912, era gestito, immediatamente prima della Seconda Guerra Mondiale, dal parroco del luogo, don Giuseppe Andrieri, il quale per primo si accorse della presenza di carbon fossile nel terreno. Un sopralluogo degli esperti confermò la presenza del minerale, ma i lavori di estrazione cominciarono effettivamente solo quando alla proprietà del terreno subentrò Franceschina Fuoco, madre dell’attuale possidente. Alle miniere santostefanesi approdarono in quegli anni, dai paesi limitrofi, decine di minatori e trasportatori. Il carbone, una volta estratto veniva trasportato, lungo mulattiere fino a Mangone, e poi su carri fino alla stazione ferroviaria di Piano Lago, dove presumibilmente alimentava il fabbisogno della stessa tratta. Le miniere vennero però abbandonate dopo solo pochi anni di attività. Lo scoppio del Secondo Conflitto causò la dismissione dei giacimenti e le gallerie furono usate come rifugi antibombardamenti. Per essere sepolte, col passare degli anni, da sterpaglie e terriccio e quasi cancellate nei ricordi delle ultime tre generazioni. Finché, quasi settant’anni dopo, quattro amici, cominciarono per scherzo a riparlarne, in una calda e quieta sera d’estate.
TRE TUNNEL DI CARBONE RISALENTE AL PALEOZOICO
LA MINIERA si trova in agro del comune di Santo Stefano di Rogliano, in un’area meglio conosciuta col nome di ‘Foresta’ al confine con il territorio di Rogliano e a pochi chilometri dal centro storico posto a ridosso della collina del Tirone. Per arrivarci occorre seguire la vecchia strada che passa per il santuario di Santa Liberata e s’inerpica verso i circa mille metri di località ‘Carcarula’. Il luogo è ameno: un verde e ridente paesaggio fa da cornice ai fabbricati rurali sparsi fra i castagni secolari, le conifere e le limpide sorgenti d’acqua che costituiscono parte essenziale di una natura bella e ancora incontaminata. Lasciata la strada asfaltata, per giungere sul posto bisogna percorrere più di un chilometro lungo un vecchio tratturo utilizzato per il passaggio dei muli, che venivano adoperati per il trasporto del legname e, nel caso specifico, dei pesanti sacchi di materiale estratto destinati ad un primo deposito di Mangone, quindi ad essere smistati (per gli usi del tempo) presso lo scalo ferroviario di Piano Lago. All’epoca, la politica autarchica voluta dal regime fascista imponeva la massima valorizzazione delle risorse energetiche nazionali (tra queste i giacimenti nel sottosuolo) per far fronte alle esigenze della Nazione impoverita, ricordiamo, a causa delle sanzioni ed al blocco delle materie prime. Il sito è costituito da tre gallerie con singolo accesso. Tre condotti sotterranei (uno è ricolmo d’acqua alla base), parzialmente esplorati, di altezza e larghezza variabili (2,5 – 3 metri), con più diramazioni interne, dove evidenti appaiono gli strati di carbone misto ad altri minerali e qualche piccola formazione di origine calcarea sulle pareti. La buona conservazione della cava è dovuta al ‘tappo’ di terra e materiale vegetale venutosi a formare all’imbocco delle gallerie subito dopo l’abbandono (probabilmente all’indomani del secondo conflitto mondiale), che nel tempo ha preservato il complesso degli elementi che costituiscono i tre tunnel. Nelle mappe geologiche la zona in cui ricade il sito minerario viene indicata risalente al Paleozoico (542 milioni – 251 milioni di anni fa), la cosiddetta Era Primaria (un dato importante) con un aspetto stratigrafico del terreno che rientra in una lunga e stretta fascia geografica dissimile per caratteristiche geomorfologiche dai territori confinanti. Anche il toponimo ‘Foresta’ potrebbe essere indicativo della particolarità del paesaggio: di quello attuale, ma soprattutto di quello antico. Paesaggio che si sarebbe evoluto grazie a condizioni ambientali (clima – mutazioni del terreno – presenza di acqua e batteri) che in milioni di anni avrebbero consentito la trasformazione di una grande massa di vegetali, soprattutto alberi, in roccia sedimentaria di origine fossile: il carbone. Una ipotesi che potrebbe portare a studi più approfonditi sull’origine e sulle caratteristiche del territorio, a nuove scoperte in ambito geologico ed archeologico. Non a caso, infatti, i componenti dell’associazione ‘Acli’ di Santo Stefano che hanno curato la prima parte della ri-scoperta della vecchia miniera, hanno già informato e coinvolto il personale dell’Ufficio tecnico comunale e gli esperti della Comunità montana del Savuto. Ulteriori iniziative in tal senso riguarderanno, a breve, anche la richiesta di interessamento del Dipartimento Scienze della Terra dell’Università della Calabria. C’è da conoscere, fin da subito la composizione chimica (carbonio – idrogeno – ossigeno – azoto zolfo), il grado di umidità e il potere calorifico, quindi la qualità stessa del minerale. Ciò come prima analisi di un insieme di studi finalizzati, nel tempo, alla fruizione scientifica e didattica del sito di località ‘Carcarula’ che di per se già costituisce una grossa testimonianza in chiave storica per questa bella zona della valle del Savuto.
ORRICO: "RICOSTRUIAMO UNA PAGINA DELLA NOSTRA STORIA"
IL SINDACO di Santo Stefano di Rogliano, Antonio Orrico, ha espresso soddisfazione per il recente ritrovamento della miniera di località ‘Carcarula’. “Si tratta – ha detto – di una testimonianza che rischiava di andare perduta e che adesso costituisce un elemento importante della microstoria, che torna utile pure alla valorizzazione del territorio”. Orrico ha confermato la disponibilità dell’Amministrazione comunale di Santo Stefano a supportare le iniziative che verranno intraprese per lo studio del sito minerario, che “significa anche salvaguardia, miglioramento e sfruttamento in termini positivi della nostra montagna”. “Siamo contenti – ha affermato il primo cittadino – perché i santostefanesi (tranne in pochi) non erano a conoscenza della presenza di questo sito. Una bella scoperta, generale e di ognuno, che sul piano archeologico va ad aggiungersi alle monete del quarto e quinto secolo avanti Cristo, ritrovate tempo addietro sul nostro territorio”. I diciannove pezzi unici di una più ampia collezione (Tesoretto di Santo Stefano di Rogliano), si trovano conservati, ricordiamo, presso il Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria. Presto, una copia di questo Tesoretto potrebbe fare bella mostra all’interno di uno spazio attrezzato grazie ad un progetto predisposto proprio dall’Amministrazione Orrico. Si tratta di un altro passo importante circa il recupero della ‘Memoria’ che nell’area del Savuto vanta aspetti molto interessanti sul piano storico e documentale.

di Assunta Cristello e Gaspare Stumpo